CARENZA VITAMINA D (IPOVITAMINOSI D)
METABOLISMO VITAMINA D
Con il termine vitamina D si intendono alcune sostanze (secosteroidi) in grado di regolare il metabolismo minerale osseo e del calcio (Ca).
Esistono due forme di vitamina D che, pur differendo minimamente per la loro struttura chimica, hanno un metabolismo è molto simile:
– vitamina D3 o colecalciferolo: contenuta in piccola quantità in prodotti di origine animale ma per la maggior parte è prodotta nella cute umana dopo irradazione ultravioletta (UVB con lunghezza d’onda di 290-315 nm) a partire dal 7-deidro-colesterolo;
– vitamina D2 o ergocalciferolo: prodotta solo nei vegetali dall’irradazione UVB a partire dall’ergosterolo e, pertanto, può esser assunta dall’uomo solo con la dieta.
La produzione endogena di vitamina D è solitamente sufficiente a soddisfare le necessità dell’organismo. Infatti l’apporto di vitamina D, in condizioni di adeguata esposizione ai raggi solari, è dovuto per la maggior parte (80-90%) alla sintesi cutanea di colecalciferolo, mentre la quantità di vitamina D (sia colecalciferolo sia ergocalciferolo) contenuta negli alimenti (pesce, uova, burro, vegetali, funghi) è pari al 10-20% ed è del tutto insufficiente, da sola, a coprirne il fabbisogno.
Nell’organismo la vitamina D è biologicamente inattiva. Per essere attivata sono necessari due processi chimici di idrossilazione che avvengono il primo, nel fegato, senza regolazione (generando la 25-OH-vitamina D o calcifediolo) ed il secondo nel rene, strettamente regolato, (generando la forma attiva di vitamina D chiamata 1,25-OH-vitamina D o calcitriolo).
La produzione di 1,25-OH-vitamina D avviene grazie ad un enzima presente nel rene noto come 1-alfa-idrossilasi la cui attività enzimatica è incrementata dal paratormone (PTH) e da una riduzione della fosforemia (ipofosforemia) mentre è diminuita dall’ipercalcemia, dall’iperfosforemia e dalla presenza di elevate concentrazioni di calcitriolo.
Il calcitriolo esplica la sua azione su 4 livelli principali:
1) a livello intestinale, stimola l’assorbimento del calcio oltre che di fosforo (P) e magnesio (Mg), fornendo all’osso i substrati necessari per la sua mineralizzazione.
2) a livello osseo agisce assieme al PTH modulandone il metabolismo;
3) a livello renale modula l’attività della 1-alfa-idrossilasi;
4) a livello delle paratiroidi regola la produzione e la secrezione di PTH.
La concentrazione plasmatica della 25-OH-vitamina D circolante è considerato l’indicatore dello status vitaminico D. La 1,25-OH-vitamina D (calcitriolo), invece, è altamente variabile e non è adatto come parametro per la valutazione dello status vitaminico.
IPOVITAMINOSI D
La mancanza di vitamina D è definita ipovitaminosi D.
Pertanto, con il termine di ipovitaminosi D si intende una riduzione dei livelli sierici di 25(OH)-vitamina D (calcifediolo) al di sotto di 30 ng/ml, ulteriormente distinta in:
– insufficienza: 25(OH)-vitamina D compresa fra 20 e 30 ng/ml;
– deficit: 25(OH)-vitamina D <20 ng/ml.
CONSEGUENZE
L’ipovitaminosi D è possibile causa di malattie, quali l’osteomalacia nell’adulto ed il rachitismo nel bambino; condizioni di carenza meno severa di vitamina D può determinare anche un quadro di iperparatiroidismo secondario.
CAUSE
L’ipovitaminosi D è una condizione molto frequente. Tre le sue cause più comuni ricordiamo: ridotta capacità di sintesi cutanea, scarsa esposizione solare, aumentata pigmentazione cutanea, inquinamento ambientale, abbigliamento (per esempio nei religiosi o negli immigrati islamici), scarso introito alimentare di vitamina D.
Anziani, pazienti con osteoporosi, (anche valutata con la nuova Densitometria Ossea REMS senza radiazioni), donne in gravidanza o allattamento, bambini nella prima infanzia e immigrati di colore rappresentano le categorie a maggior rischio di ipovitaminosi D.
Nell’anziano, per esempio, la quota sintetizzata a livello cutaneo è minima ed il raggiungimento di un ottimale status vitaminico D è spesso dipendente dall’assunzione di supplementi esterni. Va ricordato, tuttavia, che nei giovani possibile riscontrare un’elevata frequenza di ipovitaminosi D in caso di scarsa esposizione solare.
TERAPIA
In caso di ipovitaminosi D è spesso necessaria una supplementazione vitaminica.
Innanzitutto è dimostrata la maggiore potenza del colecalciferolo (D3) rispetto all’ergocalciferolo (D2) in quanto quest’ultima viene metabolizzata più rapidamente e non è in grado di mantenere adeguati livelli di 25(OH)-vitamina D così a lungo come la vitamina D3. Pertanto, la forma di vitamina D da utilizzare è il colecalciferolo (D3).
La vitamina D somministrata, si accumula in gran parte nel tessuto adiposo, per poi essere rilasciata gradualmente nei successivi mesi. Ciò consente di utilizzare diversi schemi di somministrazione: giornaliera, settimanale, mensile, trimestrale, semestrale o annuale (per bocca o intramuscolo).
Il colecalciferolo, pertanto, può essere somministrato secondo variabili schemi di supplementazione:
– piccola dose giornaliera (800-1000 UI/die);
– alta dose settimanale (7000-10.000 UI/settimana);
– alta dose mensile (30.000-50.000 UI al mese);
– alta dose bi-trimestrale (100.000 UI ogni 2-3 mesi, rispettivamente);
– alta dose semestrale (300.000 UI ogni 6 mesi);
– alta dose annuale (600.000 UI all’anno).
Pertanto la supplementazione giornaliera di vitamina D è circa 800-1000 UI/die ma può aumentare fino ad una dose massimale di 2000 UI/die nelle condizioni di severo deficit di vitamina D con concomitante assente esposizione solare, ridotto apporto dietetico e ridotto assorbimento calcico.
In caso di severo deficit di vitamina D è opportuno iniziare con un’alta dose (50.000 UI/settimana per 2-3 mesi), per rifornire i depositi, e poi passare ad uno schema di mantenimento di 800-1000 UI/die.
La somministrazione di calcifediolo (Didrogyl) o colecalciferolo (Di Base) fornisce il substrato necessario affinché l’organismo umano possa produrre da sé il metabolita attivo (1,25(OH)-vitamina D o calcitriolo) necessario per le proprie esigenze. Pertanto la somministrazione di tali composti non comporta la necessità di monitoraggio della calcemia e della calciuria. Nel caso di dosaggi elevati o nel caso di somministrazione diretta del metabolica attivo 1α-idrossilato, i.e. la 1,25(OH)-vitamina D o calcitriolo (Rocaltrol), invece, è sempre necessario uno stretto monitoraggio di tali parametri almeno 2-3 volte l’anno.
Pertanto, i metaboliti attivi della vitamina D, devono essere impiegati solo in alcune condizioni patologiche in cui l’enzima attivatore funziona meno, ovvero: ipoparatiroidismo, insufficienza renale cronica (filtrato glomerulare <30 ml/min/1.73 m2), malassorbimento intestinale.
Va ricordato che nel caso di eccessiva somministrazione di vitamina D si può determinare un quadro di intossicazione da vitamina D (concentrazione plasmatica maggiore di 150 ng/ml). Segni clinici di intossicazione acuta e cronica da vitamina D sono: nausea, diarrea, poliuria, perdita di peso, ipercalcemia, ipercalciuria, nefrocalcinosi, ridotta funzione renale e calcificazione dei tessuti molli.
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Dott. Massimiliano Andrioli
Specialista in Endocrinologia e Malattie del Ricambio
Centro EndocrinologiaOggi, Roma
viale Somalia 33A, Roma
tel/fax 0686391386
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Studio EndocrinologiaOggi, Lecce
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DIC
2011